Con il professor Giorgio Guidetti, Vestibologo e Audiologo, esperto di vertigini, Medico Chirurgo, Specialista in Otorinolaringoiatria e Audiologia, scopriamo perché e in che modo lavora il nostro organismo. Per capire come tra guardare e vedere, quando si va in moto, ci sia una differenza sostanziale sia in termini di sicurezza che di prestazioni e piacere di guida.
Se infatti chiunque abbia mai partecipato a un corso di guida (o abbia un po' di cultura specifica) sa bene come la moto, e qualunque veicolo, va nella direzione in cui si guarda, quello che molti - per non dire quasi tutti - ignorano è come il nostro sguardo... vaghi spesso, inconsciamente, dove non vorremmo. O comunque, dove non dovremmo volere.
L'occhio - altra cosa che molti probabilmente ignorano - è la parte del corpo umano capace di muoversi più rapidamente, con velocità angolari pazzesche, fino a 900 metri al secondo. Questi movimenti velocissimi, detti appunto saccadici, fanno si che la retina perda completamente la capacità di "registrare" le immagini: di fatto abbiamo solo il punto di partenza e quello d'arrivo. È il cervello che compensa, creando i fotogrammi intermedi come fa un animatore dell'industria cinematografica. Il problema è che questi fotogrammi sono frutto della nostra memoria, della fantasia - insomma, quello che vediamo non è quello che realmente esiste. Corollario: ci perdiamo decimi di secondo di ciò che accade. E quando guidiamo un'auto, una moto, una bicicletta in una discesa ripida, la cosa significa perdersi decine di metri di informazioni preziose. E significa anche sovraccaricare il cervello, che deve fare quel lavoro di ricostruzione, sprecando parte della nostra capacità cognitiva che potremmo invece usare per pensare alla traiettoria migliore, o al riferimento della frenata, o anche solo - se siamo su strada - a guidare meglio.
Non solo, ma questi movimenti - secondo il postulato enunciato all'inizio, secondo cui il veicolo va dove punta il nostro sguardo - costituiscono dei comandi della durata minima, inconsci, che diamo al veicolo che stiamo guidando. E che quindi, in qualche maniera, lo disturbano o comunque ci rallentano. Ne parliamo in ottica prestazionale perché alcuni test, svolti all'Autodromo di Modena, con normali utenti della strada e poi agenti della Polizia Stradale (addestrati, e bene, alla guida veloce) hanno mostrato, dopo addestramento specifico, netti miglioramenti quantificabili in secondi nel tempo sul giro.
Ma non finisce qui. A riprova della validità di tutte queste teorie ci sono i test che il Professor Guidetti, assieme a Maurizio Manfredi, svolge attraverso l'attività del sistema SVEP, su atleti di tutti i generi: dai piloti (Ducati e Ferrari lavorano con lui, come dimostra tra l'altro la sua partecipazione al WDW già dall'edizione 2018) ai ciclisti, fino agli sciatori - e la lista è in costante allungamento. Questi test mostrano inequivocabilmente come i piloti più veloci abbiano già, a livello istintivo, un controllo sulla visione estremamente più preciso del normale utente della strada, o pilota amatoriale che sia. Ma anche per loro, spesso c'è margine di miglioramento.
Imparando a controllare questi movimenti - perché è possibile farlo, seguendo un programma specifico che potete scoprire sul sito Stabilometria - si riesce quindi ad essere guidatori, piloti, atleti migliori. Scoprite come.